Canto popolare

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Quando si prendono in esame aspetti della cultura popolare di tradizione occorre considerare in primo luogo che si tratta di una cultura trasmessa per generazioni attraverso l’oralità e che, di conseguenza, la ricerca di tali documenti deve basarsi soprattutto sugli studi ottocenteschi e sul raro rinvenimento archivistico di materiali scritti, ma di pressoché accertata derivazione orale. Valgano come esempi una lezione della ballata La bella al ballo – che Costantino Nigra, nei suoi Canti popolari del Piemonte (Torino, 1888), classificò al numero 99 –, rilevata dal linguista Giuseppe Bellosi (La bella al ballo in un manoscritto ferrarese del XVI secolo, «Giornale filologico ferrarese», II, 3, 1979) in un rogito ferrarese del XVI secolo, conservato in una raccolta privata, nonché i manoscritti riguardanti gli studi su poesie definite popolari compiuti da Giuseppe Ferraro (Due poesie popolari religiose del secolo XV, Correggio-Emilia, 1895) e da Antonio Fernando Pavanello (Dai codici ferraresi n. 307 e n. 409, Ferrara, 1895). Altri esempi con datazioni sufficientemente accertate (magari rielaborazioni di testi preesistenti o produzioni da cantastorie su avvenimenti di cronaca) sono apportati, nel Ferrarese, dalle ricerche orali sui canti del Risorgimento: si tratta di studi novecenteschi che portano alla luce documenti riguardanti in prevalenza il Centopievese. Il primo è opera del polesano Antonio Cornoldi, che riporta un canto satirico raccolto a San Carlo di Sant’Agostino (Napolioni):

Napolioni comincia a dire:

- O mi povr’om, o mi povr’om

coss’à mai fat?

Andare in Prussia,

contro la Russia,

contro la Russia

e guerreggiar.

Una versione copparese di Venezia tu sei la più bella (Nigra 11) viene invece pubblicata da Giulio Fara nel 1931. Il terzo lavoro è specificamente dedicato ai testi derivati dalla produzione cantastoriale stampata su foglio volante. Nerina Vitali (Canti popolari sulla morte di Ugo Bassi, Cento, 1972) raccoglie frammenti di testi orali sulla morte di Ugo Bassi sulla falsariga del seguente:

 I

Venite buona gente

Venite ad ascoltarmi

Del padre Ugo Bassi

Vi voglio raccontare

II

Che prima di morire

Vôi fer di una scritura

E la saprà leggere

Saprà la mia sventura

III

Ecco che giunto il giorno

Del viver mio cessato

Che per amar l’Italia

Io venni condannato.

IV

Sia maledetta l’Austria

Non possa mai vincer guerra

Sia maledetta in cielo

E poi dopo anche in terra.

Ma gli studi ottocenteschi, ispirati dal movimento romantico, pur importanti nelle loro realizzazioni, non tengono conto di un aspetto fondamentale del canto popolare: l’indissolubilità dei testi dalle musiche. In quegli anni, invece, si analizzano i testi prevalentemente sotto un profilo filologico, alla ricerca, peraltro meritoria, dell’autentica “poesia popolare” di un popolo. Così si espresse, tra gli altri, Ermolao Rubieri, nel 1877, nella sua Storia della poesia popolare italiana: «La poesia popolare è parte rilevantissima nella storia delle nazioni, perché ad essa si rannoda la storia della lingua e dei dialetti, della famiglia e della patria, delle glorie e delle sventure, della fede e degli affetti, delle tradizioni e delle speranze, del passato e del futuro, perché essa è memorie e vita non solo, ma anche presagio, or lieto, or funesto, or promessa, or condanna».

A quest’ottica si ispirano gli importanti studi effettuati in territorio ferrarese, tra i primi in assoluto in ambiti regionali. Il merito di questi lavori pionieristici va attribuito a Giuseppe Ferraro, direttore didattico alessandrino (1845-1907), autore di ricerche analoghe pure in altri territori come il Monferrato e la Sardegna. I suoi lavori si soffermano in modo particolare sul canto, ma non ignorano altri aspetti della comunicazione orale/tradizionale quali giochi, indovinelli e formule rituali.

Il primo lavoro demologico di Giuseppe Ferraro riguardante il territorio ferrarese è un Saggio di canti popolari raccolti a Pontelagoscuro, pubblicato nel 1875 («Rivista di filologia romanza», II): i documenti, di alto livello culturale e preceduti da considerazioni sul dialetto, troveranno in massima parte successiva allocazione nel suo ampio studio sui Canti di Ferrara, Cento e Pontelagoscuro (Ferrara, 1877). Sulla scia del più illustre corregionale Costantino Nigra, il Ferraro, pur privilegiando esclusivamente i testi, offre una dimostrazione della consapevolezza dell’essenza del canto popolare in genere: «non a ragione nota il chiarissimo Nigra, che la cognizione esatta delle melodie è indispensabile per la critica della poesia popolare». La sua prima raccolta documentaria ferrarese si articola, in particolare, in due filoni di ricerca: il primo con i canti epico-narrativi, le romanze, dette nel Ferrarese Cante, le preghiere, chiamate come in Provenza Urazion (oureson), le ninne-nanne e altre tipologie; il secondo raccoglie stornelli o strambotti, localmente definiti (ma anche in altre aree emiliane) romanelle, in quanto indica la provenienza di questo genere di poesia-semiletteraria dall’Italia Meridionale, da Roma. Giuseppe Ferraro si avvale anche di testi manoscritti centesi (raccolta Diegoli). Alcuni canti narrativi raccolti rivelano chiaramente rielaborazioni locali come, ad esempio, Le tre Caroline (Ferrara), La lavandaia (Cento) e Il cavaliere della bella spada (Pontelagoscuro), nei quali il riferimento ad un generico “ponte” si fa specificamente territoriale: il ponte diviene così della Diamantina, nelle versioni di Ferrara e Pontelagoscuro, e della Rella in quella centese. Interessante, per i riferimenti locali, anche il canto a cui Ferraro attribuisce il titolo La mia amante di Francolino (Ferrara):

La miè morosa – Di Francolino,

L’aria fina – La gh’à fatt mal.

La miè morosa – La si lamenta,

L’an gh’à più niente – Da colazion.

Polenta dura – Furmaj e Spagna,

O che cuccagna – S’la durarà.

Am son ridota – Su ’n bastunzel,

Fin a la porta – De l’uspidal.

Am son ridota – A sta stanela [fustanella, sotto veste di fustagno, annota il Ferraro],

’Na fiola bela – Nissun la godrà.

Ad tant’amanti gh’aveva – A son ridotta sola,

Anssun più mi consola – Nissum mi spusarà.

Tra le 75 romanelle raccolte a Pontelagoscuro se ne distingue una che scherzosamente mette in guardia le belle ragazze da marito nei confronti dei boari e del loro duro lavoro campestre:

E mi l’ho zà ditto, donna bella,

In t’un boaro non t’innamorare.

Che tutt al dì al boaro l’è alle terre,

non si ricorda più di donna bella.

Che tutto al dì ara le terre e volta,

Né si ricorda più di donna tolta.

Che tutto al dì ara le terre e torna,

Non si ricorda della donna zovna.

Giuseppe Ferraro fornisce ulteriori contributi territoriali nel 1883 (Poesie popolari in un manoscritto del secolo XVIII, «Archivio per lo studio delle tradizioni popolari», II). Successive sue ricerche, oggetto di pubblicazione nel 1886 (Tradizioni ed usi popolari ferraresi, «Archivio per lo studio delle tradizioni popolari», V), portano alla luce testi religiosi, giochi di parole, filastrocche, strofe di riti calendariali e romanelle. Tra queste ultime, si trascrive un testo che ha come protagoniste due tessitrici in mezzo al mare:

Mezz a lo mar aghè du tessarole

Una la tesse l’altra fa le spole

Una la tesse l’altra fa la tela

M’voj mettr a far l’amor co la più bela.

Un corpus di 84 canti raccolti nel Centese (con ampia presenza di canti epico-lirici) da Antonio Martinelli attorno al 1880 costituisce in massima parte la raccolta che Mario Borgatti stampa a Firenze nel 1962 (Canti popolari emiliani raccolti a Cento), corredando alcuni testi con la trascrizione musicale, che scaturisce da sue rilevazioni successive. Diversi documenti trovano riscontri nella raccolta di Giuseppe Ferraro e provengono, oltre che da Cento, da Pieve di Cento, Renazzo e Dosso Pievese. A puro titolo esemplificativo si riporta il breve canto La bella Lisa:

Vin al port, o marinaro,              ch’a no t’srè molto caro,

Me a son la bela Lisa,                 cla zouvna bjonda e grisa.

S’en capita un quelch demoni,     al sra prest al matrimoni.

Presto presto, Enrico belo,          ti darò il mio anelo.

Non andèr seinper in mare,        che t’pres naufragare.

Dam a meint, o mio caro,           non pjó fer al marinaro.

Borgatti ne pubblica pure la traduzione italiana:

“Vieni al porto, o marinaio, ché a noi sarai molto caro. Io sono la bella Lisa, quella giovine bionda e grigia. Se non capita qualche demonio, sarà presto il matrimonio. Presto presto, Enrico bello, ti darò il mio anello. Non andare sempre in mare, ché potresti naufragare. Dammi ascolto, o mio caro, non più fare il marinaio”.

Sempre restando in ambiti pievesi, si segnala una singolare operazione culturale, che si traduce nella confluenza di un testo dialettale colto, scritto, nella tradizione orale: si tratta di una sequenza di romanelle che Angelo Michele Gessi (Al Duttour Zass) inserisce nel suo poemetto eroicomico dialettale I Pivís a Massumadegh (I Pievesi a Massumatico), composto a partire dal 1870 e diffuso prima manoscritto e in seguito in varie edizioni, a partire da quella romana del 1901.

Ecco alcuni versi con la loro traduzione in lingua:

Santessum Cruzifess, ma av dmand ’na grazia,

Tgnì ben luntan da l’vid qualunqv desgrazia.

E se un poc d’timpesta av vin la voja,

Mandela in t’i zedron, parchè an s’in coja.

(“Santissimo Crocifisso [così i pievesi invocano un crocifisso ligneo venerato nella Collegiata di Santa Maria Maggiore di Pieve di Cento], io vi domando una grazia, / Tenete ben lontano dalle viti qualunque disgrazia. / E se un poco di grandine vi viene la voglia [di mandare] / Mandatela tra i cetrioli, perché non se ne raccolga”).

Gli studi novecenteschi daranno, via via, un significativo impulso ad una nuova disciplina, l’etnomusicologia, che consentirà una più esaustiva analisi del canto popolare. Nei primi decenni del secolo nel Ferrarese spiccano le ricerche di Mario Borgatti, confluite in saggi su riviste nazionali e in seguito riprodotte nel volume già citato, nonché in un’ulteriore edizione del 1963. Un importante contributo musicologico verrà fornito anche dai Canti popolari emiliani, di Enzo Masetti (Milano, 1929), oggetto di armonizzazione, raccolti nell’Alto Ferrarese. Ma il vero passaggio alla ricerca etnomusicologica, anche con l’uso del magnetofono, è soprattutto scandito dalle ricerche italiane (e, in parte, nel Basso Ferrarese) di Alan Lomax, tra la fine del 1954 e l’inizio del 1955, e di Leo Levi, sul canto ebraico, in parte riguardante anche il Ferrarese. Il canto popolare centese verrà nuovamente studiato da Nerina Vitali, i cui lavori sono tuttora in parte inediti. Significativi contributi, sia pure non sistematici, verranno forniti negli anni Sessanta del Novecento da Roberto Leydi, mentre altri, in territorio ferrarese, verranno in seguito pubblicati grazie al lavoro del Centro Etnografico Ferrarese (istituzione pubblica fondata nel 1973 da Mario Roffi e Renato Sitti), grazie agli studi di Paolo Natali, Sergio Liberovici, Gianni Stefanati e Gian Paolo Borghi.

Anche i canti di lavoro rivestono un importante ruolo nel repertorio popolare. Anche se non raccolti dai folkloristi e demologi ottocenteschi che furono attivi nel Ferrarese, non si possono non citare i repertori delle mondine (molto spesso derivati dalla tradizione o realizzati estemporaneamente per sottolineare le loro difficili condizioni di lavoro) e l’“inno” degli scariolanti, diffuso in varie lezioni in tutto il territorio emiliano-romagnolo. Questa versione venne raccolta da chi scrive nel 1978 a Casumaro di Cento:

A mezànotte in punto

si sente un gran rumor:

sono gli scariolanti lerì lerà

sono gli scariolanti lerì lerà           che vanno al lavor

A mezànotte in punto

si sente una tromba sònar:

sono gli scariolanti lerì lerà

sono gli scariolanti lerì lerà           che vanno a lavorar

Gli scariolanti belli

son tùt’inganatòr

ch’i gh’à la bionda lerì lerà

ch’i gh’à la bionda lerì lerà            per un bacin d’amor

Volta, rivolta e torna a rivoltar

sono gli scariolanti lerì lerà

sono gli scariolanti lerì lerà           che vanno a lavorar


GPB, 2011


Bibliografia 

Raccolta di sacre poesie popolari fatta da Giovanni Peregrini, a cura di Giuseppe Ferraro, Bologna, Fava e Garagnani, 1877; Mario Borgatti, Canti religiosi di Cento, «Il Folklore italiano», I, 1/1925; Id., Romanelle del Centese, «Archivio per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari italiane», XIV, 1-2/1929; Giulio Fara, I canti del popolo d’Italia. Montagnana-Ferrarese, «Musica d’oggi», XIII, 4, 1931; Mario Borgatti, Folklore emiliano raccolto a Cento, Firenze, Olschki, 1963; Antonio Cornoldi, Avvenimenti risorgimentali attraverso i canti popolari del Polesine, Rovigo, Minelliana, 1969; Guida allo studio della cultura del mondo popolare in Emilia e in Romagna (!). I canti e la musica strumentale, a cura di Roberto Leydi e Tullia Magrini, Bologna, IBC-Alfa, 1982.

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