Pastorizia e allevamento

Bovini al pascolo nel tenimento della Mesola Bovini al pascolo nel tenimento della Mesola Mario Zucchini, L’agricoltura ferrarese attraverso i secoli. Lineamenti storici, Roma, Volpe 1967

 

Il processo di specializzazione zootecnica e foraggera nelle terre del Ferrarese è strettamente legato alle condizioni dell’agricoltura. Infatti, all’epoca dell’Inchiesta Agraria di Jacini, nelle pianure delle terre basse erano ancora estese la coltivazione del mais, frumento e cereali minori, mentre era in diminuzione il patrimonio boschivo a favore di colture e dell’appoderamento.

Questo processo continuò soprattutto nei primi decenni dopo l’Unità d’Italia, quando nel Ferrarese si resero necessari importanti lavori di bonifica al fine di redimere terre alle piene del Po. Se per oltre duecento anni, fino alla fine del XIX secolo, il bestiame da stalla rimaneva limitato all’allevamento dei bovini da lavoro, soprattutto nei fondi a mezzadria e a boaria, con gli interventi di bonifica avvenne un passaggio epocale: migliaia di terre prima denominate “valli” furono in poco tempo coltivate a seminativi e foraggi. In questo modo, grazie alla specializzazione delle colture e all’uso sempre crescente di concimi chimici, l’agricoltura ferrarese poté conoscere una nuova dimensione degli allevamenti e delle colture foraggere.

Per avere l’idea di com’era distribuito il patrimonio zootecnico tra Otto e Novecento è interessante analizzare uno studio condotto da Pietro Niccolini che, attraverso le statistiche di Scelsi, sosteneva che nelle campagne ferraresi nel 1869 vi erano 40 bovini per chilometro quadrato, 29 ovini, 8 equini e 8 suini, mentre in tutta la provincia i bovini erano 70.300, gli ovini oltre 50.00, i suini circa 15.000 e gli equini oltre 14.000. Il loro prezzo si aggirava tra le 550 lire del toro e del bue, le 400 lire del manzo e della vacca e del cavallo, le 350 lire del mulo, le 200 lire del manzetto, le 125 lire del vitello e del suino da ingrasso e le 15 lire della pecora. La pastorizia era largamente presente in regione, anche se concentrata soprattutto nelle zone di collina: a 105.000 capi di greggi stanziali, si affiancavano 35.000 capi di greggi migranti, molti dei quali scendevano a pascolare nel Ferrarese.

Nel 1873 il valore complessivo del bestiame appartenente ai proprietari ferraresi ammontava a circa 29 milioni di lire. I rilevamenti successivi, nel 1906, evidenziano il mutamento delle campagne ferraresi a favore del contratto di boaria e della conduzione capitalistica con salariati, giornalieri e avventizi: si incrementavano, congiuntamente, la disponibilità di terre, la produzione agricola e la dotazione di bestiame, ma anche il disagio dei lavoratori. Mentre, nel 1908, la dotazione di animali nelle aziende agricole ferraresi ascendeva a circa 200.000 capi, suddivisi tra equini in numero di oltre 13.500, bovini per oltre 100.000 capi, vacche per oltre 55.000 capi, pecore per oltre 44.000 capi.

Erano presenti nelle stalle ferraresi anche tori, buoi, muli, cavalli in numero considerevole, per un valore complessivo pari a 110 milioni di lire, con una presenza media per chilometro quadrato di superficie agraria di circa 7 equini, 56 bovini, 15 suini e 22 ovini.

Nello stesso periodo il valore della proprietà fondiaria della provincia ammontava a circa 800 milioni di lire, mentre la produzione delle colture riferibili ai prati, erba medica, pascoli e colture diverse utili al bestiame ascendevano a oltre 3 milioni di quintali annui. In tutti i periodi presi in esame va considerata, inoltre, la presenza e l’allevamento di polli, galline, tacchini e faraone, anche se queste non venivano censite, figuravano in maniera importante nelle aziende agricole ferraresi.

In definitiva, se nel 1875 il totale della superficie agraria provinciale era coltivata per 78.000 ettari, 66.000 ettari di terreni erano prativi e 89.000 ettari erano valli; nel 1906 la superficie agraria passò a 198.000 ettari, mentre quella dei terreni vallivi e improduttivi scese a 78.000 ettari.

Nello stesso periodo la produzione del frumento passò da una superficie di 49.000 a 60.000 ettari e la disponibilità di foraggi principali per il bestiame crebbe tra il 100% e il 344%. Allo stesso modo si sviluppò la produzione dei foraggi secondari, la paglia, la stoppia, i melicari, il fieno, la bietola da foraggio, molto oltre i livelli del 1875, quando erano disponibili oltre 900.000 quintali di paglia, 160.000 quintali di stoppia, 14.000 quintali di melicari, 72.000 quintali di cannello e 580.000 quintali di vegetali vallivi, per un totale di oltre 2.500.000 quintali di mangimi.

Dalla fine del secolo, inoltre, un grande apporto venne dato dalla bieticoltura, in quanto le “polpe” divennero mangime per i bovini e per i suini. Quindi, se nel 1869 la dotazione zootecnica comprensiva di equini, bovini e suini era pari a circa 100.000 capi, con la prevalenza di bovini ed un valore complessivo di 30 miliardi, nel 1908, il totale riferito alla stessa dotazione ascendeva a circa 150.000 capi, con la prevalenza di bovini e un valore complessivo di 110 miliardi.

Nel corso degli anni la media raggiunta nel Ferrarese per il patrimonio zootecnico, fu di circa 50 capi per chilometro quadrato di superficie territoriale, analoga a quella del Ravennate, del Bolognese, del Polesine e del Mantovano, con una densità maggiore verso la media pianura e minima verso il litorale. La razza maggiormente diffusa era quella pugliese, con maggiori attitudini al lavoro ed un discreto apporto di carne, mentre l’allevamento lattifero era localizzato tra Bondeno, Ferrara, Mainarda, Portomaggiore, con una discreta produzione di latte.

Tra gli allevamenti minori era prevalente quello dei suini, mentre l’allevamento ovino fu gradualmente abbandonato, in quanto legato ai pascoli permanenti che andarono via via contraendosi, e quindi anche la relativa transumanza degli stessi tra la pianura emiliana, l’Appennino modenese e l’area deltizia del Po. Infatti, fino agli inizi del XX secolo, nel periodo autunno-invernale, settore di ibernazione delle mandrie ovine era la zona litoranea del Ferrarese, ma anche nel Comacchiese era naturale trovare branchi transumanti sugli argini erbosi delle valli, dove gli “svegratori” modenesi e toscani affittavano una stanza presso le aziende degli agricoltori locali e vi risiedevano con la famiglia per tutto l’inverno, distaccandosi sempre più dalla montagna.

In definitiva, i cambiamenti avvenuti nelle campagne ferraresi in oltre mezzo secolo, dovuti al nuovo sistema politico derivante dall’Unità del Paese, alle trasformazioni indotte dalla crisi agraria di fine Ottocento, alla meccanizzazione e alle innovazioni agronomiche e, non ultimo, alla bonifica delle “terre nuove”, produsse un nuovo sistema, colturale, sociale e territoriale, che influì in maniera determinante nel nuovo assetto agricolo e industriale provinciale tra l’inizio del XX secolo e la fine del primo conflitto mondiale.

MC, 2012

Bibliografia

Pietro Niccolini, Ferrara agricola, cenni storici e statistici, Ferrara, Taddei, 1926; Mario Ortolani, La pianura ferrarese, «Memorie di geografia economica», a. VIII, luglio-dicembre 1956; Mario Zucchini, L’agricoltura ferrarese attraverso i secoli. Lineamenti storici, Roma, Volpe, 1967; Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, a cura di Piero Bevilacqua, vol. I, Spazi e paesaggi, Venezia, Marsilio, 1989; Franco Cazzola, Storie delle campagne padane dall’Ottocento a oggi, Milano, Bruno Mondadori, 1996.

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