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Architettura e scultura

Giovanni Pividor (1812-1872), Prospetto della Certosa di Ferrara, ora Campo Santo, secondo il piano di F. Canonici; litografia tratta da Francesco Canonici, Storia e descrizione dell'antica Certosa di Ferrara, Rovigo, Minelli, 1851 Giovanni Pividor (1812-1872), Prospetto della Certosa di Ferrara, ora Campo Santo, secondo il piano di F. Canonici; litografia tratta da Francesco Canonici, Storia e descrizione dell'antica Certosa di Ferrara, Rovigo, Minelli, 1851 Ferrara, Biblioteca Comunale Ariostea

In architettura il Settecento si chiude a Ferrara con il completamento del Teatro Comunale da parte di Antonio Foschini e del romano Cosimo Morelli: inaugurato dal governo “francese” nel 1797, si tratta in realtà dell’ultima importante commissione pubblica di epoca pontificia, seguita da nessun’altra nel corso del nuovo secolo. Diversamente da quanto avviene ad esempio nelle vicine città della Romagna, a Ferrara neppure nel campo dell’edilizia privata il parziale avvicendamento al potere fra l’antica aristocrazia terriera e la nuova borghesia imprenditoriale – con il conseguente passaggio di mano di beni fondiari e immobili – si traduce in un significativo rinnovamento del volto architettonico della città. Edifici neoclassici sorgono a Ferrara solo negli anni della Restaurazione, quando gli uomini nuovi di epoca napoleonica consolidano il loro potere. Palazzo Casazza (arch. Gaetano Armanini, 1815-20) e palazzo Gulinelli di via XX Settembre (arch. Luigi Federzoni, c. 1840) stabiliscono la sobria tipologia residenziale del nuovo patriziato, dalla quale si distanzia la grandiosità “imperiale” di palazzo Camerini (ing. Giovanni Tosi, c. 1830-35), significativamente ornato da un frontone scolpito dal trevigiano Marco Casagrande raffigurante La Fortuna che propizia l’Idraulica e realizza l’Abbondanza, a ricordare la recente origine delle sostanze del proprietario (tutti e tre gli edifici conservano notevoli dipinti murali all’interno; vedi Pittura).

La pagina più interessante dell’architettura ferrarese dell’Ottocento riguarda tuttavia il restauro delle maggiori chiese cittadine e dei monumenti del centro storico, spesso condotto secondo i principi del rifacimento in stile tipici dell’epoca. Fra il 1829 e il 1845 il “cantiere della piazza”, diretto dall’ingegnere comunale Giovanni Tosi, ha per esito il consolidamento del protiro della Cattedrale, la ricostruzione in stile neogotico della facciata del palazzo della Ragione, il parziale rifacimento della loggia dei Merciai addossata al fianco meridionale del Duomo e il nuovo prospetto classicista della loggia di San Crispino. Il programma di restauri, che doveva comprendere anche il completamento in stile della Cattedrale, anticipa sorprendentemente di qualche anno la diffusione in Italia del Gothic Revival ed è accompagnato da un’accesa polemica.

Fra i partecipanti al dibattito si distingue per consapevolezza teorica e conoscenze storiche il marchese Ferdinando Canonici, uomo politico, docente di architettura a Firenze e membro onorario di diverse altre accademie italiane. Si deve a Canonici il maggior cantiere della Ferrara ottocentesca: l’ampliamento e la trasformazione dell’antica Certosa in complesso cimiteriale, in osservanza – ma anche in parziale deroga – al noto decreto vicereale del 3 giugno 1811 che stabiliva che i campi mortuari dovessero sorgere al di fuori delle mura cittadine. Il progetto del marchese architetto, sottoposto all’approvazione di Leopoldo Cicognara e dell’Accademia di Venezia, è improntato su rigorosi criteri di simmetria e unità di stile: dopo aver demolito il poco che restava del cenobio quattrocentesco, Canonici fa della chiesa cinquecentesca l’asse di un organismo formato da quattro chiostri ottenuti replicando l’antico claustro originale e anteponendovi due ampi portici curvilinei. Architettura ed elementi decorativi si ispirano al linguaggio rinascimentale diffuso in pianura Padana, il “lombardesco”. I lavori, cominciati nel 1819, termineranno solo nel secondo dopoguerra, sostanzialmente rispettando il disegno originale.

Nella progettazione del ricco apparato ornamentale dei nuovi chiostri, Canonici è assistito dal veneziano Giovanni Pividor, docente di Ornato e Architettura civile presso l’ateneo cittadino, cui si deve la riscoperta moderna dei fregi rinascimentali in terracotta, da lui utilizzati in altre sue opere (chiesa di Sant’Antonio Abate, 1867). Il secolare cantiere della Certosa offre occasioni di lavoro ai molti scultori attivi a Ferrara, fra i quali vanno ricordati Camillo Torreggiani, Gaetano Davia e Ambrogio Zuffi. In quanto luogo deputato alla memoria dei cittadini illustri, cui viene conferita una nuova dignità laica, il camposanto è concepito come area monumentale e come tale compare fin da subito nelle guide per i forestieri. A garantire il decoro e l’omogeneità stilistica delle singole sepolture, di cui si fanno garanti le autorità cittadine e la Commissione municipale d’ornato, è l’indiscussa adesione alla cultura neoclassica e purista. Tale corrente figurativa è infatti rappresentata in Certosa sia dalla presenza dei grandi maestri in persona – da Antonio Canova (Busto di Leopoldo Cicognara, 1819-22, terminato da Rinaldo Rinaldi) a Lorenzo Bartolini (Tomba di Pietro Recchi, poi di Francesco Mayr, 1837) e Pietro Tenerani (Monumento Costabili, 1841-57) – che da quella, assai consistente, dei loro allievi: Giacomo De Maria, Cincinnato Baruzzi, Adamo Tadolini, Bartolomeo Ferrari, Alessandro D’Este, Pasquale Romanelli, Francesco Fabi Altini e altri. A quella stessa cultura attingono i due maggiori scultori ferraresi, entrambi residenti a Roma: Giuseppe Ferrari, collaboratore di Tenerani, autore di una dozzina di monumenti funebri e delle statue dei grandi ferraresi nella Cella degli uomini illustri (1838-57), e Angelo Conti, che fu invece allievo di Thorvaldsen (Cenotafio del Garofalo, 1838). Grazie a queste presenze, il cimitero della Certosa si qualifica fin dall’origine come una sorta di museo a cielo aperto della scultura contemporanea, tanto che ancora nel suo volume sulla Certosa del 1914, Giuseppe Reggiani si sente di affermare che «Ferrara, da due secoli, quasi, staccata dal movimento artistico italiano, nell’Ottocento vi si ricongiunge col nome e con l’opera di molti dei migliori artefici».

In epoca postunitaria però all’ormai stanco linguaggio di matrice classicista e neoquattrocentesca si sostituisce un naturalismo fin troppo analitico che ha il suo apice nella Tomba di Francesco Massari Zavaglia, terminata nel 1880 dal piemontese Giulio Monteverde, acclamato autore di mausolei per i cimiteri monumentali di tutta Italia. Il maggiore rappresentante locale del “realismo borghese” di età umbertina è Luigi Legnani, la cui propensione a un minuzioso descrittivismo spesso contrasta con la tensione all’idealizzazione imposta dal tema funebre; fra i suoi risultati migliori in Certosa si possono ricordare le tombe Avogli Trotti e Frabetti (oggi Sturla Avogadri, 1893). Analogamente a quanto avviene in pittura dopo l’Unità, lo scadimento generale della qualità artistica è dovuto allo spezzarsi – complice la crisi delle accademie – di quella rete di relazioni partecipi con altri centri culturali e all’affievolirsi dell’orgoglioso senso di identità culturale municipale che era stato proprio degli anni della Restaurazione e del Risorgimento. Le ambizioni della committenza si fanno più modeste: ci si rivolge sempre meno ai grandi maestri per affidarsi piuttosto ai locali laboratori specializzati o a marmisti toscani e romani che replicano meccanicamente i modelli celebri di Staglieno e del Verano. Soprattutto ai primi del Novecento risulta evidente l’appiattirsi della produzione artistica su stilemi liberty declinati in accezione provinciale, spesso ricalcati senza originalità sulle opere di Leonardo Bistolfi.

Significative, soprattutto per il loro significato politico, sono le vicende della scultura monumentale nella “città dei vivi”. Nel 1833 veniva collocata sulla colonna al centro della Piazza Nuova la statua di Ludovico Ariosto, opera di Francesco Vidoni su disegno del pittore Francesco Saraceni (in parte rielaborata da Zuffi nel 1881); si concludevano così, con la consacrazione al genio poetico cittadino, le vicissitudini del monumento concepito per onorare il duca Ercole I, ma che finì per reggere le effigi di papa Alessandro VII (1675), della Libertà (Luigi Turchi, 1796) e di Napoleone (Giacomo De Maria, 1809). Un evidente significato anticlericale assume nel 1875 l’erezione, a fianco del Municipio e di fronte al palazzo Arcivescovile, del monumento a Savonarola scolpito dal centese Stefano Galletti, autore della statua del Guercino (1862) nella città natale e di diverse apprezzate opere pubbliche a Roma (Monumento a Cavour, 1895). Meno felici sono i casi dei memoriali dedicati ai padri della patria: il monumento a Vittorio Emanuele realizzato da Giulio Monteverde nel 1889 per il sagrato della Cattedrale fu motivo di polemiche per il suo costo eccessivo, non fu mai amato dai ferraresi e giace oggi smembrato al Museo del Risorgimento; ancor più controversa è stata la vicenda del monumento a Garibaldi in viale Cavour, voluto nel 1890 da un comitato di reduci, dapprima affidato al romano Ettore Ferrari (garibaldino e massone, autore di ben 17 monumenti al generale), poi messo a concorso senza esito, infine assegnato direttamente al presidente della giuria, il cesenate Tullo Golfarelli (autore anche del bel busto di Carducci nella Biblioteca Ariostea, 1906-07) e inaugurato il 20 settembre 1907 fra contestazioni politiche e accuse di clientelismo e plagio.

Tornando all’architettura, sembra perdurare anche dopo l’Unità la congiuntura negativa: sono pochi gli edifici che meritino di essere segnalati, riconducibili ai due estremi dell’esuberante eclettismo di palazzo Gulinelli sull’attuale corso Ercole I d’Este (Giovanni Biondini, c. 1862-81; notevoli anche gli interni), che nell’apparato ornamentale prosegue la tradizione ferrarese della decorazione in cotto di gusto neorinascimentale inaugurata da Pividor, e, all’opposto, dell’aplomb “ministeriale” del nuovo palazzo della Cassa di Risparmio (1907-10), progettato dall’ingegner Luigi Barbantini e ultimato dal romano Gaetano Koch, autore anche della sede centrale della Banca d’Italia. Di fatto è l’attività degli ingegneri comunali – fra i quali si distingue il vercellese Giacomo Duprà – a segnare il volto della città moderna, occupandosi essi non solo della realizzazione delle infrastrutture viarie e degli impianti industriali, ma anche degli edifici di pubblica utilità – bagni pubblici, acquedotto, mercato coperto, macello, scuole, teatri, case popolari – ormai realizzati adottando tipologie prestabilite su scala nazionale.

È grazie all’opera dell’ingegner Ciro Contini che il livello qualitativo dell’architettura ferrarese torna alto: soprattutto nelle ville Art Nouveau costruite su viale Cavour – divenuto asse privilegiato di accesso alla città dopo la costruzione della stazione ferroviaria (1859) e l’interramento del canale Panfilio (1880) – Contini si dimostra progettista aggiornato sul modernismo europeo (villa Melchiori, 1904; villa Amalia, 1905; palazzina Finotti, 1908). Fiduciario ed esponente lui stesso della colta borghesia ebraica cittadina, a Contini si deve anche il primo piano regolatore urbanistico (1913, ma attuato oltre vent’anni dopo), comprendente la sistemazione del nuovo rione Giardino nell’area già occupata dalla demolita fortezza pontificia.

Negli stessi anni il liberty cittadino produce anche in scultura un esito degno di nota: proprio nel fatale 1914 viene eretto nel sagrato antistante la Certosa il monumento funebre al giovane aviatore Roberto Fabbri, opera del migliore interprete locale dell’Art Decò, Giovanni Pietro Ferrari, in cui il consueto bistolfismo sembra cedere il passo a una più salda concezione della forma, ispirata a modelli rinascimentali, in sintonia con il maggiore – e non più provinciale – scultore ferrarese del Novecento, Arrigo Minerbi.

MT, 2011

Bibliografia

Ranieri Varese, La scultura funeraria: dal neoclassicismo al naturalismo, in La Certosa di Ferrara, a cura di Roberto Roda e Renato Sitti, «Quaderni del centro etnografico ferrarese», [Padova], 1985, pp. 51-72; Ferrara Disegnata. Riflessioni per una mostra, a cura di Marica Peron e Giacomo Savioli, Ferrara, Artstudio C, 1986; Lucio Scardino, Ciro Contini ingegnere e urbanista, Ferrara, Liberty house, 1987; Lucio Scardino, Antonio P. Torresi, Post-mortem: disegni, decorazioni e sculture per la Certosa ottocentesca di Ferrara, Ferrara, Liberty house, 1996; Lucio Scardino, Neo-estense in scultura, Ferrara, Liberty house, 2006.

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