Valli e paludi

Paesaggio di valle prima della bonifica, tratto da Terre ed acqua. Le bonifiche ferraresi nel delta del Po, a cura di Anna Maria Visser Travagli, Giorgio Vighi, Ferrara, Corbo, 1990, p. 126 Paesaggio di valle prima della bonifica, tratto da Terre ed acqua. Le bonifiche ferraresi nel delta del Po, a cura di Anna Maria Visser Travagli, Giorgio Vighi, Ferrara, Corbo, 1990, p. 126

Prima degli imponenti lavori di bonifica integrale, condotti a partire dal 1873 e poi, più intensamente, fra gli anni 1920 e 1960, quasi la metà del territorio ferrarese (circa 88.000 ettari dei complessivi 232.200 di superficie totale) era occupata da zone vallive o terreni paludosi e acquitrinosi. A questi andavano aggiunti i 49.000 ettari delle Valli di Comacchio – oggi ridotte ad appena 17.000 ettari – che rappresentavano una delle più grandi regioni umide d’Europa.

Queste aree anfibie, seppure non idonee all’agricoltura, offrivano diverse opportunità, per quanto modeste, per il sostentamento della popolazione. La presenza dell’acqua, infatti, consentiva il prolificare di molte specie vegetali e animali utilizzabili dall’uomo.

I canneti, ad esempio, alimentavano diverse attività: l’inflorescenza della canna palustre, raccolta nei mesi estivi, veniva utilizzata per la fabbricazione di scope, grisole e stuoie (le arelle utilizzate nelle costruzioni per il rivestimento dei soffitti o impiegate nella bachicoltura). La canna secca, tagliata in inverno, rappresentava uno dei principali elementi nella costruzione delle abitazioni tipiche delle valli, i cosiddetti casoni. Essa era inoltre impiegata come combustibile. Altre essenze vegetali utilizzate erano la pavèra (Typha) e il quadrello (Cyperus rotundus), usate nella fabbricazione di stuoie, panieri e per l’impagliatura di sedie e fiaschi. Tutte queste attività, che assumevano carattere artigianale e talvolta industriale, coinvolgevano un gran numero di lavoratori che si sommavano agli stagionali impiegati nelle operazioni di sfalcio e raccolta della canna.

Grazie alla presenza di numerose specie di pesci (anguilla, luccio, tinca, carpa), soprattutto negli specchi d’acqua più profondi, la pesca offriva un altro contributo al sostentamento degli abitanti delle valli. Nella seconda metà dell’Ottocento furono introdotti nella pianura padana il pesce gatto (Ameiurus melas) e il persico sole (Lepomis gibbosus), originari dell’America settentrionale, che divennero un piatto comune soprattutto per i più poveri. Attraverso le vie di comunicazione fluviale, inoltre, il pesce di valle poteva raggiungere il mercato di Ferrara. Significativa era pure la presenza di uccelli, migratori e stanziali, che rappresentavano un ulteriore apporto alla sussistenza della popolazione.

Si trattava, insomma, di un mondo arcaico, legato a consuetudini e tradizioni secolari che si erano sviluppate per tutta l’età medievale e moderna, ma che ancora sopravviveva nel XIX secolo, prima di essere cancellato per sempre dall’avvento della modernità, rappresentata in questo caso dalla bonifica idraulica.

Le Valli di Comacchio non costituivano uno specchio d’acqua continuo ma erano suddivise in diversi bacini da numerose arginature, spesso naturali ma più frequentemente approntate dall’uomo, che venivano chiamate dialettalmente bari. I bacini, detti campi, avevano dimensioni diverse e prendevano il nome di Mezzano, Pega, Rillo, Fattibello, Spavola, Isola, per citare i principali.

L’attività antropica prevalente era rappresentata dalla pesca, soprattutto delle anguille e dei cefali, le specie più presenti nelle valli. Essa si basava sul processo naturale di migrazione dei pesci dal mare alla laguna e viceversa e forniva l’80% delle risorse economiche per la sussistenza della popolazione. Il periodo di lavoro più intenso era quello autunnale, da settembre a dicembre, quando i pesci adulti lasciavano la laguna per andare a riprodursi in mare: attraverso l’apertura delle chiaviche, durante l’alta marea, veniva immessa nelle valli acqua marina, così da attirare i pesci verso gli sbocchi dei campi e dei canali dove – tramite appositi meccanismi detti lavorieri – essi venivano catturati.

Oltre alla pesca e allevamento in senso stretto, la presenza delle anguille alimentava una serie di attività correlate, legate alla fabbricazione delle reti (prevalentemente femminile), alla marinatura del pesce per la conservazione, ai lavori di scavo e manutenzione dei canali e delle arginature.

I lavoratori nelle valli, detti vallanti, erano circa 300, a cui si aggiungevano 120 sorveglianti. I vallanti erano suddivisi in 33 famiglie, dirette da un caporione e organizzate secondo una rigida gerarchia. A loro spettava il compito di curare la manutenzione delle dighe, delle chiuse e dei lavorieri, nonché la raccolta del pesce e il suo trasporto nelle manifatture per la lavorazione. I sorveglianti, invece, dovevano vigilare soprattutto nei confronti della pesca di frodo da parte dei cosiddetti fiocinini, particolarmente diffusa e divenuta una costante preoccupazione delle autorità soprattutto alla metà del secolo, quando il quadro sociale e finanziario dell’economia di valle divenne sempre più critico.

La fabbricatura riguardava, invece, le attività di conservazione del pesce: una volta prelevato dalle valli, infatti, il pescato veniva trattato, attraverso procedimenti raffinati di cottura o di marinatura, così da poter alimentare la filiera commerciale. Nei diversi stabilimenti presenti a Comacchio erano impiegate circa 200 persone, soprattutto stagionali, poiché il periodo di maggior lavoro era limitato alla stagione autunnale. L’attività era gestita da un gruppo di famiglie comacchiesi che controllavano sia la produzione che lo smercio e la commercializzazione del pesce.

Tuttavia, soprattutto intorno alla metà del XIX secolo, l’attività della pesca fu ostacolata da una serie di avvenimenti calamitosi, in particolare la siccità, che provocava durante l’estate un’eccessiva evaporazione dell’acqua nelle valli, con conseguente aumento della salinità. Già nel 1825 la società appaltatrice delle valli, che dal 1797 erano gestite dal Comune di Comacchio, fu ridotta al fallimento con grave danno del Comune stesso: in quell’anno morirono quasi tre milioni di kg di pesce, obbligando la popolazione locale a scavare enormi fosse per interrare o bruciare i pesci in putrefazione, al fine di scongiurare pestilenze. La siccità si prolungava fin dal 1822 e a nulla erano valsi gli interventi eseguiti nel ’24, presso il porto di Magnavacca, per migliorare lo scambio idrico fra il mare e la laguna. Il governo pontificio fu costretto a intervenire, finanziando direttamente l’Amministrazione Comunale per coprire le perdite: da quel momento il continuo deficit dell’economia valliva determinò una situazione per la quale la sopravvivenza del territorio si basava, di fatto, sull’assistenza statale. Dopo l’unificazione, lo Stato, pur continuando a sovvenzionare le valli, cercò di porre freno alle perdite economiche cedendo nuovamente la gestione al Comune (1868): negli anni successivi, ad eccezione del 1890, l’attività peschereccia fu piuttosto proficua ma ciò non impedì che il bilancio rimanesse in passivo fino al 1896. Inoltre la situazione destava preoccupazione anche dal punto di vista sociale: in due casi, quello già citato del 1890-91 e poi ancora nella stagione 1901-02, la disperazione dei comacchiesi ormai ridotti alla fame fu causa di vere e proprie sommosse.

La crescente pressione demografica, inoltre, e i nuovi imperativi modernizzanti, legati al risanamento dei centri urbani e all’igiene, determinavano i presupposti per una grande battaglia contro gli spazi anfibi, diretta sia all’allargamento della superficie agricola che al miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti e alla lotta contro la malaria.

Le bonificazioni, seppur limitatamente, iniziarono nel 1873 con il prosciugamento delle valli Gallare, Volta, Prove e Rai che si concluse dieci anni più tardi e interessò una superficie complessiva di circa 9.000 ettari. Nell’ultimo decennio del XIX secolo furono eseguiti numerosi rilievi, quali indagini pluviometriche e calcoli sull’evaporazione e la salinità delle valli; furono inoltre discusse varie soluzioni (progetto Canestrini, 1892; progetto Bullo, 1893; progetto Samaritani, 1894) che miravano a risolvere il delicato problema del ricambio d’acqua nella laguna per affrontare gli inconvenienti della siccità, così da assicurare condizioni più favorevoli per la sopravvivenza delle attività di pesca tradizionali. I costi proibitivi, stimati nel 1904 in 900.000 lire da un’apposita commissione tecnica istituita presso il Municipio di Comacchio, e la generale tendenza verso gli interventi di bonifica integrale non resero però possibile l’attuazione di questi progetti. In conseguenza della Legge Baccarini del 1882, fu così progettata la bonificazione di buona parte della superficie valliva superstite, attuata in più stralci nel secolo XX: già al principio degli anni 1920, con il prosciugamento delle valli Trebba, Ponti e Raibosola, la laguna risultava ridotta a poco più di 30.000 ettari, destinati a diminuire ulteriormente negli anni successivi, fino a raggiungere lo stato attuale.

La progressiva riduzione degli spazi anfibi comportò la distruzione dell’equilibrio, pur precario, fra la popolazione e il territorio, oltre alla scomparsa delle attività economiche tradizionali. Le opere di bonifica, infatti, offrirono in un primo momento grandi opportunità di lavoro che comportarono un significativo aumento degli abitanti (fra il 1861 e il 1911, nel solo territorio di Comacchio, la popolazione crebbe di circa 40.000 individui). In seguito, tuttavia, nelle nuove terre rese alla coltivazione, si stabilirono grandi imprese agricole ad alto rendimento che poterono assorbire solo una minima parte dei lavoratori in precedenza impiegati nei lavori di bonifica.

MP, 2011

Bibliografia

Giorgio Roletto, Appunti geografico-economici sulle “Valli” di Comacchio, «Rivista Geografica Italiana», XXXII, 1925, pp. 147-154; Terre ed acqua: Le bonifiche ferraresi nel delta del Po, a cura di Anna Maria Visser Travagli e Giorgio Vighi, Ferrara, Corbo, 1989; Franco Cazzola, Fiumi e lagune: le acque interne nella vita regionale, in Storia di Comacchio nell’età contemporanea, a cura di Aldo Berselli, Ferrara, Este Edition, 2002.

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