Musei

Il salone dei Mesi con le bacheche per l'esposizione dei codici miniati al Civico Museo Schifanoia, inaugurato nel 1898 Il salone dei Mesi con le bacheche per l'esposizione dei codici miniati al Civico Museo Schifanoia, inaugurato nel 1898 Ferrara, Gabinetto fotografico e fototeca dei Civici Musei d'Arte Antica

Alla fine del Settecento le raccolte pubbliche d’antichità a Ferrara erano ospitate in palazzo Paradiso, storica sede dell’Università: il Lapidario nel cortile d’onore dal 1735, il Museo numismatico e archeologico in due stanze al piano nobile dal 1758. Qui avevano trovato posto anche l’Orto botanico (1729), il nuovo Teatro anatomico (1732), l’Accademia del disegno di figura e architettura (1736) e la Biblioteca (1746-59). Dal 1771 la stretta relazione fra attività didattica universitaria e musei era stata rafforzata dalla riforma promossa e guidata da Roma dal prelato ferrarese Giovan Maria Riminaldi, che, grazie a un’accorta strategia di acquisti e di donazioni aveva accresciuto in modo considerevole le raccolte del lapidario e del museo, rinnovandone la fisionomia, che si era in tal modo allontanata dal modello della raccolta antiquaria cara agli eruditi cittadini per aderire ai nuovi principi archeologici propugnati dal neoclassicismo romano. L’ambiente universitario ferrarese oppose tuttavia una sorda resistenza all’attività riformatrice di Riminaldi, tanto che dal 1789, anno della morte del cardinale, fino al 1811, il museo, lasciato privo di direzione e custodia, rimase quasi sempre chiuso al pubblico.

Paradossalmente, ad allentare il legame d’impronta illuminista fra attività didattica e museo furono le disposizioni del governo napoleonico riguardanti il declassamento dell’università ferrarese a liceo e l’accentramento dell’educazione artistica superiore nelle sole accademie di Milano e Bologna. Fu probabilmente per reagire a questa situazione che nel 1805 il direttore dello Studio ferrarese, il fisico Antonio Campana, appoggiò l’iniziativa del docente di pittura Giuseppe Santi di allestire una pubblica pinacoteca raccogliendo nell’aula di Sant’Agnese, ex oratorio universitario, una selezione di dipinti provenienti da istituti religiosi soppressi. L’esperimento, probabilmente parte di un più ampio progetto di musealizzazione del patrimonio pittorico delle chiese cittadine, dovette tuttavia essere interrotto per l’opposizione delle autorità centrali. La Civica Pinacoteca venne dunque istituita ufficialmente solo nel 1836, in tutt’altro clima culturale, quando ormai molte opere erano uscite dalle mura cittadine.

Sorta con lo scopo di presentare le opere degli antichi maestri “in miglior lume e alla portata di ogni studioso amatore o conoscitore, [così che] servir potessero ad un tempo e di esemplari per i più giovani, e di testimonianza del valore della nostra scuola, e di onore durevole alla città stessa” (F. Avventi, Il servitore di piazza, Ferrara 1838), la pinacoteca non ebbe dunque origine direttamente dalle soppressioni di età napoleonica, né in seguito le riuscì di acquisire le opere più significative delle collezioni private che da quegli eventi erano sorte e che andarono disperse senza rimedio nel corso del secolo. La quadreria civica si accrebbe invece prelevando i dipinti dagli altari delle chiese cittadine per sostituirli con copie, avvalendosi dei poteri conferiti alle Commissioni municipali di Belle Arti dalla recente legislazione pontificia in materia di tutela del patrimonio artistico. Azioni simili si protrassero per tutto il secolo e comportarono lo stacco di affreschi e la rimozione di intere serie di dipinti d’altare, come nei casi delle chiese di Santa Maria in Vado (fin dal 1834), Sant’Andrea (1847), San Francesco (1865) e San Paolo (1877).

Al momento della sua istituzione la Pinacoteca aveva sede in palazzo Municipale, dove erano stati raccolti una quarantina di dipinti, per la maggior parte provenienti da chiese cittadine, ma già nel 1842 essa venne trasferita nelle più capienti e salubri sale di palazzo dei Diamanti, appena acquistato dal Comune dalla famiglia Villa per farne la sede del nuovo Ateneo Civico. Qui la “Patria Pinacoteca” trovò posto accanto alla Scuola d’ornato, all’Accademia di scienze e lettere e a quella medica, alla Scuola della Società agraria con l’orto botanico, alla Scuola veterinaria con la clinica animale. L’impronta pragmatica conferita al nuovo complesso risulta evidente dalla presenza di diversi istituti tecnico-pratici e dalla sostituzione dell’accademia del nudo con una Scuola d’ornato orientata alla formazione di artigiani piuttosto che di artisti. Fu probabilmente questa impostazione la ragione di fondo delle crescenti difficoltà di gestione cui andò incontro la Pinacoteca, man mano che essa, nella seconda metà del secolo, perse l’originaria funzione educativa per rivolgersi al pubblico ‘colto’ degli intenditori e dei turisti, sostituendosi ai musei di palazzo Paradiso come meta privilegiata.

Le requisizioni napoleoniche del 1796 e del 1805 colpirono Cento ben più di Ferrara, per via del grande favore che le opere del Guercino avevano sempre goduto in Francia. I dipinti recuperati da Parigi nel 1815 furono dapprima esposti nell’oratorio del SS. Rosario, poi nel settecentesco palazzo del Monte di Pietà, adibito a Pinacoteca Civica dal 1839. Nei decenni successivi la quadreria centese incrementò le sue collezioni non solo a spese delle chiese cittadine ma anche grazie a donazioni e acquisti da collezioni private, che dimostrano come la Pinacoteca fosse presto riuscita a divenire il centro di riferimento per le manifestazioni d’orgoglio civico, che avevano nella figura del Guercino la loro bandiera. La prima guida del museo fu pubblicata nel 1861, un anno prima dell’inaugurazione in piazza del monumento al maestro centese scolpito dal concittadino Stefano Galletti; la seconda fu impressa nel 1891, in occasione del terzo centenario della nascita del Barbieri; entrambe documentano, assieme all’accrescersi delle collezioni, l’approfondirsi delle conoscenze sulla scuola pittorica locale.

Anche ad Argenta le soppressioni napoleoniche costarono alla città la perdita di gran parte degli arredi sacri, fra cui due notevoli pale d’altare del Garofalo. Per arginare il degrado del patrimonio artistico locale, reso più acuto dalle leggi soppressive del 1866, il sindaco Giuseppe Vandini promosse il restauro delle maggiori chiese cittadine e nel 1869 fece raccogliere in Municipio i migliori dipinti, costituendo così il primo nucleo della futura Pinacoteca Comunale.

Tornando a Ferrara, dal 1825 i musei di palazzo Paradiso furono risistemati e si arricchirono di nuove donazioni sotto la direzione del bibliotecario Giuseppe Antonelli. Dopo il 1850 giunsero al museo reperti etnografici e naturalistici raccolti in Egitto da viaggiatori ferraresi: il marchese Massimiliano Strozzi Sacrati, il medico Elia Rossi e l’agente commerciale Angelo Castelbolognesi. Analogamente a quanto avvenne agli altri musei di storia patria in Italia – si pensi al caso del Correr a Venezia – nella seconda metà del secolo, anche le raccolte ferraresi persero il loro carattere enciclopedico unitario per venire suddivise in nuclei disciplinari omogenei, ordinati secondo più razionali principi classificatori. Fin dal 1853 diverse opere del fondo Riminaldi (busti, bassorilievi, ritratti di uomini illustri) entrarono a far parte dell’arredo della Pinacoteca di palazzo dei Diamanti. Nel 1869 l’intera sezione naturalistica venne trasferita nell’ex convento delle Martiri a formare un museo autonomo, istituito in occasione della fondazione della Scuola di scienze naturali della Libera Università ferrarese (1862). Ne fu direttore Galdino Gardini, che nel trentennio successivo accrebbe e specializzò le collezioni museali favorendo le donazioni da parte di collezionisti privati. Giunsero così in museo la raccolta di fossili del bacino di Monte Mario a Roma donata dallo scultore Angelo Conti e i preziosi repertori di esemplari zoologici, geologici ed etnografici spediti dall’America del Sud dai concittadini Enea Cavalieri e Angelo Fiorini.

Infine, nel 1898 il gabinetto archeologico e quello numismatico furono trasferiti – non senza opposizioni – da palazzo Paradiso a palazzo Schifanoia, dove furono posti nella sala degli Stucchi e in quella delle Imprese, a fianco del salone d’onore ornato dagli affreschi quattrocenteschi riscoperti fra il 1820 e il 1840, a confronto coi quali si collocarono in apposite bacheche i più bei codici miniati della stessa epoca, tolti dalla biblioteca. Per volontà del sindaco Pietro Niccolini, del direttore della biblioteca Giuseppe Agnelli e del grande storico dell’arte Adolfo Venturi, la delizia di Schifanoia cominciava così a uscire dallo stato di decadenza in cui era caduta dopo la Devoluzione per divenire il museo del Rinascimento ferrarese. A palazzo Paradiso rimase il solo Lapidario, che aveva mantenuto la sua forma settecentesca e che nel Novecento sarebbe stato smembrato fra la sezione romana (oggi esposta nell’ex chiesa di Santa Liberata) e quella medievale (al Museo della Cattedrale e in Casa Romei).

Nel frattempo, fra la fine dell’Ottocento e il principio del Novecento, la Pinacoteca di palazzo dei Diamanti si era trovata al centro di continue polemiche riguardanti i suoi criteri di ordinamento e i restauri condotti sulle opere. Costruita attorno al vecchio mito purista e neoguelfo del Garofalo, “Raffaello ferrarese”, essa contava allora circa 180 dipinti, esposti in una decina di sale, senza alcun ordinamento cronologico o per scuola, con una netta prevalenza di pale d’altare del Cinque e del Seicento. A queste si aggiungevano due stanze dedicate agli artisti contemporanei, con l’intenzione di dimostrare la vitalità della scuola locale.

Nel 1903 fu aperto in palazzo dei Diamanti anche il Museo del Risorgimento, la cui raccolta di cimeli e documenti si era formata per iniziativa della Deputazione di storia patria in occasione dell’Esposizione nazionale di Torino del 1883 ed era in seguito stata donata dai proprietari al Municipio. Abbandonato ben presto a se stesso, il nuovo museo contribuì a trasmettere quell’impressione di eterogeneità delle raccolte, carenza di spazi e generale incuria denunciata dai visitatori di palazzo dei Diamanti. Tuttavia, il restauro dell’edificio e la riorganizzazione degli spazi museali ebbero luogo solamente nel 1933, in occasione della grande esposizione che rese celebre la scuola ferrarese del Rinascimento, dopo che nel 1912 il Comune aveva tentato invano la “regificazione” della Pinacoteca per liberarsi degli oneri di gestione (il passaggio allo Stato sarebbe infine avvenuto nel 1956).

Nello stesso 1898 in cui si diede avvio alla riqualificazione di palazzo Schifanoia, un altro significativo esempio di dimora gentilizia del Quattrocento, casa Romei, entrata a far parte del demanio statale nel 1866 come pertinenza del convento del Corpus Domini, fu consegnata all’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti (futura Soprintendenza), che ne cominciò il restauro mettendo fine a un periodo di degrado e usi impropri. Lo stesso avvenne nel 1906 per la palazzina tardorinascimentale di Marfisa d’Este, affidata dal Municipio alle cure della “Ferrariae Decus”, una società sorta con lo scopo di tutelare il patrimonio monumentale cittadino (vedi Istituzioni culturali). La palazzina sarebbe divenuta sede di un museo nel 1937, a conclusione del processo di radicale rinnovamento del sistema museale cittadino realizzato fra le due guerre, le cui premesse erano state poste nei decenni precedenti.

MT, 2011

Bibliografia

Il Museo Civico in Ferrara. Donazioni e restauri, catalogo della mostra (Ferrara, Chiesa di San Romano, aprile - luglio 1985), Firenze, Centro Di, 1985; La Pinacoteca Civica di Cento. Guida illustrata, a cura di Fausto Gozzi, Bologna, Nuova Alfa, 1987; Ranieri Varese, Un progetto “giacobino”: la Galleria dell’Accademia di Ferrara, in Ferrara. Riflessi di una rivoluzione, catalogo della mostra (Ferrara, Palazzo Paradiso, 11 novembre - 31 dicembre 1989), a cura di Delfina Tromboni, Ferrara, Corbo, 1989, pp. 148-67; Anna Maria Visser Travagli, Palazzo Schifanoia e palazzina Marfisa a Ferrara, Milano, Electa, 1991; Jadranka Bentini, La Pinacoteca Nazionale di Ferrara: origini, acquisizioni, restauri, in La Pinacoteca Nazionale di Ferrara. Catalogo generale, a cura di Jadranka Bentini, Bologna,Nuova Alfa, 1992, pp. XI-XXIV.

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